La storia

Risalendo la valle del Fiastra lungo la storica direttrice, percorsa tante volte nei secoli da popoli migranti e da eserciti invasori, lo sguardo non può che cadere su una dolce collina, il cui pendio è segnato da ruderi disfatti di antichi monumenti, e sulla cui sommità sorge Urbisaglia, un grazioso paesino come ce ne sono tanti in vetta alle alture marchigiane, ma con un patrimonio storico e culturale unico, evidente testimonianza di un’antica, popolosa e fiorente città.
Le origini di Urbisaglia si perdono nella notte dei tempi; verosimilmente fondata nella prima metà del I secolo a.C., il suo nome deriva da quello dell’antica città romana di Urbs Salvia, a sua volta riferibile, con ogni probabilità, ad un culto terapeutico associato in età imperiale alla Dea Salus.
A dire il vero, nella fase iniziale di vita essa aveva un nome diverso, Pollentia, che solo in un secondo momento mutò in Urbs Salvia. Ad oggi resta ancora tutto da chiarire in merito alle ragioni che hanno portato al mutamento del nome e riguardo a quando esso è avvenuto; tuttavia, sebbene fosse un fatto insolito in quell’epoca, il cambio del nome non ha comportato stravolgimenti nel sistema amministrativo della città e, soprattutto, non ha comportato un cambiamento di sede.
Città della V Regio Augustea (Picenum), una delle porzioni di territorio in cui le Marche furono divise dopo la conquista romana, Urbs Salvia si trovava all’incrocio di due importanti strade, che univano una Firmum (Fermo) a Septempeda (San Severino Marche), e l’altra, la Salaria Gallica, attraverso un percorso pede-montano, Ricina (Macerata) ad Asculum (Ascoli Piceno); una posizione “strategica”, dunque, che ha sicuramente favorito la nascita dell’insediamento già in epoca pre-romana.
Fu un importante Municipio, con ordinamento amministrativo autonomo, in epoca repubblicana e il suo destino fu legato per secoli a quello della “Gens Salvia”, nobilissima famiglia romana che, per un lungo periodo, esercitò una specie di alto patronato sulla città. Al tempo di Augusto, però, Urbs Salvia fu declassata a “colonia”, privata dei privilegi municipali e sottratta all’autorità dei Salvi, rei di aver parteggiato per i Repubblicani.
La fase di sviluppo monumentale della città parte dall’età Tiberiana e raggiunge il culmine in età Flavia, grazie, soprattutto, all’intervento di alcuni notabili locali arricchitisi con i servizi prestati presso gli Imperatori. Ornata con imponenti edifici pubblici tra cui l’Anfiteatro, il Teatro e il Tempio, servita da un Acquedotto e da un Serbatoio semplicemente grandiosi, collegata agli altri centri Piceni da numerose vie consolari, coronata da boschi a sud-ovest e da lussuose ville ad est, Urbs Salvia viveva il suo periodo di massimo splendore.
Con la caduta dell’impero e il progressivo abbandono dell’insediamento in pianura, poco difendibile in una fase storica caratterizzata da continue guerre, però, si giunge all’epilogo di questa fiorente epoca: intorno al 408-409 d.C., infatti, Alarico, Re dei Visigoti, nella sua marcia verso la Città Eterna, distrusse quasi completamente Urbs Salvia, tanto che “nulla più affatto rimase del pristino splendore che una sola porta e pochi resti di pavimento …”, come scrive Procopio da Cesarea, che vi sostò per tre giorni, al seguito dell’esercito di Belisario, poco più di un secolo dopo il passaggio di Alarico.
Neppure l’Alighieri, il padre della lingua italiana, rimase indifferente di fronte alle vicissitudini di Urbs Salvia, tanto da scrivere del suo destino, e di quello di altre tre importanti città di quel periodo, nei versi 73-78 del XVI Canto del Paradiso della Divina Commedia:

“Se tu riguardi Luni e Urbisaglia
come sono ite e come se ne vanno
di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
Udir come le schiatte si disfanno
non ti parrà nuova cosa né forte,
poscia che le cittadi termine hanno.”

Nella conseguente crisi dell’economia agricola, la terra torna a popolarsi di boschi, selve e paludi, mentre nel territorio che fu prima della città romana, cominciano a delinearsi due aggregazioni sociali di una certa importanza: Orbesallia, con gli Abbracciamonte o Gualtieri, discendenti dei Romani, che si erano rifugiati sulla sommità della collina, e Villa Maina o Villa Magna, sotto il dominio dei Conti Offoni o Mainardi, che cercano vicendevolmente di attrarsi nella propria sfera di influenza.
Nel 1142, però, viene fondata, ad opera di Guarniero, marchese di Ancona e duca di Spoleto, l’Abbazia Cistercense di Santa Maria di Chiaravalle di Fiastra, che con il proprio sviluppo economico e culturale impedirà di fatto qualsiasi possibilità di crescita di un forte centro comunale all’imbocco della valle.
La fine del secolo, poi, è caratterizzata dal tentativo di espansione di Tolentino che, prima con l’uso della forza, poi con un cauto piano diplomatico, il 21 ottobre 1303 riesce a prendere possesso di Urbisaglia, strappandola dalle mani degli Abbracciamonte.
Intorno al 1348 si diffonde nella provincia la peste, che si ripeterà più volte nel corso di questo secolo, e cominciano ad imperversare le Compagnie di Ventura che, ovunque si recano, saccheggiano e distruggono. Una di queste, in particolare, nel 1420, nel tentativo di impadronirsi della Marca, invade e conquista l’Abbazia di Fiastra, che aveva tentato invano di opporsi, e rade al suolo Villa Magna, che da allora non fu più ricostruita e rimane solo come toponimo di una contrada di Urbisaglia. Nel 1433, poi, un’altra Compagnia di Ventura, quella di Francesco Sforza, con un colpo di mano, riuscì a sottrarre Urbisaglia a Tolentino e ne affidò il governo a Elena Tomacelli, moglie del capitano Taliano Furlano. Risalgono a questo periodo le costruzioni della Chiesetta della Maestà e della Chiesa dell’Addolorata.
Passato il “turbolento” periodo sforzesco, gli urbisagliesi tornano sotto il dominio tolentinate, ma nonostante le ripetute promesse di sottomissione, il desiderio di libertà di Urbisaglia è molto forte. Per contrastare le continue spinte autonomiste, Tolentino cominciò a chiedere insistentemente al Papa Alessandro VI il permesso di costruire una Rocca che, in seguito ad una grave ribellione, stroncata e sfociata nella decapitazione di alcuni protagonisti, fu concesso nel 1947.
Seguono anni tranquilli, nei quali la Rocca ottempera alla sua funzione di controllo e dominio sul paese, ma dopo l’ennesima richiesta di autonomia, nel 1569 Papa Pio V toglie Urbisaglia alla giurisdizione di Tolentino, ponendola alle dirette dipendenze della Santa Sede.
Durante il periodo di governo pontificio furono effettuati i primi scavi della città romana e venne costruita la Collegiata di San Lorenzo (1790-1800), mentre solo dopo l’Unità d’Italia si crearono le condizioni per un migliore livello di vita della popolazione, grazie ad uno sviluppo industriale che portò alla nascita, tra gli altri, di una filanda, di un calzificio e di un saponificio. Inoltre, con i lasciti dei benefattori Angelo Buccolini, Innocenzo Petrini e del marchese Alessandro Giannelli, il paese si dotò di un ospizio per anziani, di un Monte di Pietà e di un asilo infantile.
In epoca fascista, al toponimo Urbisaglia venne aggiunto il nome “Bonservizi”, in onore dell’urbisagliese Nicola Bonservizi, stretto collaboratore di Mussolini, mentre negli anni della seconda guerra mondiale, Urbisaglia fu sede di un campo d’internamento ubicato nel Palazzo Giustiniani Bandini dell’Abbadia di Fiastra.
Oggi il paese conta più di 2700 abitanti che si dedicano, principalmente, ai lavori agricoli, artigianali, all’industria siderurgica, energetica e dell’abbigliamento.

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